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Come sottolineato, la MiFID II interviene a 360° nel mondo degli strumenti finanziari. La trasparenza sui costi è una delle grandi rivoluzioni della direttiva, che in certa misura rappresentava in passato uno dei punti deboli della consulenza. Sulle spalle del solo cliente, spesso inesperto e poco preparato, ricadeva il peso del mismatch di competenze rispetto al consulente, lasciando così il primo alla mercé del secondo. Con ciò non si intende sostenere una presunta cattiva fede da parte del consulente, quanto piuttosto evidenziare l’assurdità di una situazione in cui a rischiare maggiormente era anche colui che meno era in grado di porre gli argini più solidi contro i colpi della sorte. Uno stallo che non poteva proseguire oltre. Con la MiFID II, si richiede al consulente di fornire al cliente un prospetto completo e chiaro dell’investimento proposto, le possibili alternative, i rischi, nonché, in corso d’opera, la situazione finanziaria e i possibili sviluppi futuri. Insomma, dalla culla alla tomba, si sarebbe detto un tempo. Molto probabilmente, ciò non metterà il cliente al riparo da tutte le sorprese spiacevoli, ma si tratta comunque di un passo in avanti importantissimo.
In altre parole, la comunicazione diventa il perno dell’investimento. Il rapporto cliente-consulente conosce, grazie alla MiFID II, un salto di qualità. Se fino a poco tempo fa il consulente poteva essere visto come una sorta di male necessario per accedere agli strumenti finanziari più avanzati, oggi deve diventare il migliore amico del proprio capitale. Fondamentale, così come previsto dalla direttiva, che l’investimento sia tarato sulle esigenze del cliente, e tali esigenze assumono così un ruolo di assoluta centralità. Niente più false promesse, niente più investimenti avventati (almeno sulla carta). Ma non finisce qui.
Male silenzioso, i costi di commissione rappresentavano un formidabile corrosivo al guadagno, poiché andavano ad incidere in maniera pesante e spesso senza che il cliente ne fosse a conoscenza. La direttiva MiFID II impone invece che tutti i costi vengano palesati nero su bianco. L’intermediario, in altre parole, deve rivelare obbligatoriamente a quanto ammonta la propria parcella. Il cliente viene così messo nelle condizioni di poter valutare al 100% l’entità delle spese, a prescindere chiaramente dalle potenzialità dell’investimento. Inoltre, via libera alla consulenza indipendente.
Ovviamente no. Ma con l’entrata in vigore della direttiva, le società di gestione del risparmio devono specificare se la consulenza è esercitata da attori indipendenti o meno. La differenza non è di poco conto. La consulenza indipendente è, in linea teorica, svincolata da eventuali pressioni dei gruppi di riferimento (banche ecc.), e comporta costi nettamente inferiori.
Poiché non è tutto oro ciò che luccica, specie nel mondo della finanza, va detto che la stessa consulenza indipendente comporta dei conflitti di interesse non da poco, relativi al rapporto tra ciò che vuole il cliente, e ciò a cui mira il consulente (che non è un benefattore, è bene ricordarlo). Ad esempio, a fronte di un investimento rischioso, con un aumento di costi di commissione, quanti consulenti indipendenti suggerirebbero al proprio cliente una scelta più prudente? Una domanda, tra le tante, che occorre sempre porsi.
Ad ogni modo, con la MiFID II lo spazio per la consulenza, indipendente e non, si amplia in termini di forme e contenuti. Ci aspettiamo che l’Italia muova ulteriori passi verso il pieno recepimento della direttiva.
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