Hosting e dominio, in effetti, ad oggi sono gestibili in perfetta autonomia dal personale interno di ogni azienda, senza contare che la documentazione di questi servizi è anch’essa liberamente consultabile su Google. In questo scenario, gli hosting condivisi occupano ancora oggi un ruolo fondamentale: nonostante vengano periodicamente dichiarati come morti, inutili o superati in favore di varie innovazioni più costose (dal cloud ai VPS, passando per servizi interamente dedicati – hardware incluso – ad un singolo sito web), lo shared hosting assume un’importanza ancora oggi unica per qualsiasi sito web (o quasi). Per chi non sapesse di cosa si tratta, è presto detto: gli hosting condivisi permettono di ospitare un sito web, mediante una tecnica detta virtualizzazione del server, in comune tra più siti che non hanno nulla in comune tra loro. In pratica è possibile sfruttare un singolo server per ospitare più siti, condividendo (per l’appunto) con opportune politiche RAM, CPU e spazio su disco. Quindi, ad esempio, su un hosting condiviso posso ospitare più siti web di vari proprietari, senza che in generale interferiscano tra di loro, e suddividendo le risorse succitate tra i vari “ospiti” della piattaforma, e soprattutto dando ad ognuno la sensazione di essere “soli”, su quella macchina.
Alla base del funzionamento dell’hosting condiviso – che fa funzionare buona parte degli hosting WordPress attualmente in circolazione – vi è infatti un’idea di condivisione delle risorse e soprattutto di abbattimento dei costi: se dare una macchina dedicata ad ogni sito sarebbe troppo oneroso (e costerebbe troppo all’utente-webmaster), con questa formula l’utente finale risparmia parecchio e possiede un prodotto di buona qualità. In media, un hosting condiviso costa dalle 50 alle 100 euro all’anno, dalle 4 alle 6 euro al mese in media per buona parte delle offerte commerciali, e questo li rende ideali per i webmaster medio-piccoli che vogliano gestire i propri siti in modo semplice e professionale. Alla prova dei fatti, vi è una considerazione tutt’altro che intuitiva: è provato statisticamente, in qualche modo, che solo una piccola parte dei webmaster sfrutti al massimo le risorse: quindi, anche in caso di sovraccarico delle risorse (cosa che avverrebbe, ad esempio, se tutti occupassero la RAM fisicamente disponibile) sarebbero in pochissimi ad accorgersi o a soffrire del problema. Per questo motivo, del resto, le politiche di gestione degli hosting condivisi sono sempre più accorte, e cercano di massimizzare la soddisfazione dell’utente ponendo dei limiti, via hardware e soprattutto via software, alla possibilità che un sito provi a prendersi per sè tutto a spese di altri.
Non c’è dubbio che, con il passare degli anni, si possa arrivare ad un servizio ancora più ottimizzato e semplice da usare: la specializzazione dei webmaster sta crescendo, e gli strumenti come cPanel o Plesk sono sempre più pratici e veloci. Per convincersene del tutto, poi, basterebbe pensare che – solo qualche anno fa – installare un sito con CMS non era semplice come adesso: gli hosting che forniscono WordPress in modo automatico – e con installazione one-click o preinstallata – sono ormai la quasi totalità del mercato. Motivo per cui, ancora adesso, gli shared hosting assumono un peso specifico costante, ed imprescindibile, per lo sviluppo dei vari business online.
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