photo credit: Self Snitch
Facebook può diventare uno strumento di spionaggio nelle mani dell’azienda per monitorare il comportamento dei dipendenti durante le ore di lavoro. Internet dilaga, negi ultimi 10 anni il tempo trascorso online è raddoppiato e il mobile ha dato ulteriore impulso al trend. Ciò che è accaduto a un operaio de L’Aquila – e che ha generato un precedente giuridico significativo – ha però del sorprendente e pone l’accento su questioni di natura normativa, ma anche, in un certo modo, etica.
La Corte Suprema di Cassazione, con la Sentenza 10955/15, si è espressa a favore di una società abruzzese che aveva licenziato un proprio operaio che, nel corso delle ore d’ufficio, trascorreva del tempo in chat su Facebook. La vicenda però, risalente al 2012, è più complicata.
Dall’altra parte dello schermo, infatti, non c’era un utente qualunque: la donna dall’altra parte del display con cui si intratteneva l’operaio, infatti, era in realtà un profilo fake di Facebook realizzato ad arte dalla stessa azienda presso cui l’operaio prestava servizio. L’uomo, addetto alle stampatrici, è stato allontanato per giusta causa e si è appellato alla legge per chiedere il reintegro a lavoro, trovando il rigetto del massimo grado di giudizio italiano.
La Cassazione si è espressa in favore dell’azienda che ha usato Facebook per spiare dipendenti, spiegando come l’atteggiamento dell’azienda sia stato volto a “riscontrare e sanzionare un comportamento idoneo a ledere il patrimonio aziendale”. Il caso sarebbe stato gestito in modo differente se la creazione del profilo Facebook fasullo fosse stata finalizzata all’effettuazione di controllo su “l’attività lavorativa più propriamente detta”.
Il comportamento dell’addetto alla gestione del personale che ha eseguito il controllo fa parte di quelle condotte ritenute ‘occulte’. Ciononostante, nel caso specifico il controllo occulto non ha riguardato la normale attività del lavoratore bensì è stato orientato ad accertare l’assunzione, da parte dell’addetto, di condotte ritenute illecite e non confacenti a un dipendente nel corso delle ore di lavoro regolarmente retribuite dall’azienda.
La sentenza della Cassazione ha comunque sottolineato la “necessaria esplicazione delle attività di accertamento mediante modalità non eccessivamente invasive e rispettose delle garanzie di libertà e dignità dei dipendenti, con le quali l’interesse del datore di lavoro al controllo e alla difesa dell’organizzazione produttiva aziendale deve contemperarsi e, in ogni caso, sempre secondo i canoni generali della correttezza e buona fede contrattuale”.
La decisione della Corte di Cassazione segue a quella emanata dalla Corte d’Appello de L’Aquila nel dicembre del 2013, la quale si era espressa allo stesso modo, convalidando l‘allontanamento del dipendente e rendendo conseguentemente legittimo l’utilizzo di Facebook per spiare dipendenti.
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